Nella vita capita che si intraprendano cammini, viaggi, percorsi non solo per il piacere di viaggiare, ma anche per crescere da un punto di vista professionale e spirituale.
Questo tipo di percorso si può con tutta probabilità accostare a Luigi Nazari di Calabiana, che nell’itinerario di crescita personale e spirituale che lo collega da Savigliano a Milano, trova in Casale Monferrato uno snodo fondamentale per la sua attività ecclesiale e politica.
Nazari di Calabiana nacque nel 1808 a Savigliano, figlio di nobile famiglia, quella dei Calabiana, viene destinato alla carriera ecclesiastica, dove da subito dimostrò una particolare propensione all’attività sacerdotale a tal punto che nemmeno quarantenne, nel 1847, venne consacrato vescovo della Diocesi di Casale Monferrato.
La sua vicinanza prima Carlo Alberto e poi a Vittorio Emanuele II, lo mise in una posizione di rilievo anche da un punto di vista politico nell’ambito dell’attività consiliare alla Corona sabauda; non a caso divenne senatore del Regno di Sardegna nel 1848, poco prima di compiere quarant’anni, allora età minima per l’accesso alla carica.
Calabiana arrivò, appunto, a Casale nel 1847, momento molto concitato da un punto di vista politico sia per il Regno di Sardegna che per l’Europa intera. Accolto da una folla festante, fu figura rilevante anche durante il famoso Quinto Congresso Generale dell’Associazione Agraria tenutosi in città nello stesso anno e al quale prendevano parte grandi personalità politiche dell’epoca oltre che tecnici ed esperti in materia.
Ma il nome del giovane vescovo si lega indelebilmente a quella che passò alla storia come “Crisi Calabiana”.
Un momento, seppur breve, di fortissima tensione tra la Chiesa Piemontese, la Chiesa di Roma e il Regno di Sardegna, sull’onda laica del primo Ottocento frutto della Rivoluzione Francese e del periodo napoleonico, come dimostrarono le leggi Siccardi del 1850.
Lo Stato sabaudo intendeva in ogni modo, sotto il governo Cavour, incamerare tutti quei beni della Chiesa che non servissero i cittadini dello Stato con un’opera attiva di assistenza ai bisognosi, ai malati, ai mendicanti o come semplice azione predicativa. L’incameramento voleva dire porre fine a tutti quegli ordini ecclesiastici che optavano per una fuga mundis e quindi in particolare gli ordini monastici.
I vescovi della Chiesa Piemontese per mesi comunicarono attraverso una fittissima corrispondenza con la speranza di risolvere tale problematicità per l’istituzione di cui facevano parte. Sebbene poco sostenuti dalla Chiesa di Roma, come dimostrano le lettere del cardinale Antonelli, provenienti dalla Santa Sede, in risposta alle grida di aiuto degli episcopi subalpini, i quali lamentavano di essere oppressi “da tante catene, che ci tengono avvinti nell’esercizio del Nostro Ministero e della nostra giurisdizione”.
Nonostante ciò venne trovata una soluzione che mise in seria difficoltà il governo di Cavour.
Essa prevedeva il pagamento da parte della Chiesa Piemontese, attraverso un’auto-tassazione, dei beni che lo Stato voleva incamerare, in modo da evitarne la triste sorte.
Fu proprio Calabiana, in veste di senatore, che nel 1855 portò a Palazzo Madama tale proposta. Da subito il governo fu messo in una posizione di difficoltà e lo stesso Cavour fu costretto alle dimissioni dalla carica di Primo ministro.
Subito iniziarono i lavori per la formazione di un nuovo governo sotto la guida del generale Durando al fine di risolvere la crisi, pur mantenendo un atteggiamento liberale e una preminenza della corona sabauda sull’attività di promozione dell’Unità nazionale.
Sebbene ci fossero tutte le intenzioni per procedere in questa direzione, mancò un reale accordo tra il nuovo governo e l’episcopato piemontese. Con il fallimento del tentativo Durando, ritornò in pompa magna Cavour e con lui anche della proposta di incameramento, che questa volta venne approvata nonostante la fortissima azione contrastante di Calabiana in Senato.
Come evento storico è difficile sostenere che tale crisi di governo fu merito esclusivo di colui il quale le diede il nome. Piuttosto vi fu una pluralità di azioni e persone che ne determinarono la sua attuazione. Nello specifico bisogna riconoscere il grande sforzo politico ed economico dell’episcopato subalpino e in particolare delle diocesi di Asti, Alba, Cuneo e Vercelli che dimostrarono mirabili capacità diplomatiche capaci di far dimettere colui che viene considerato, ancora oggi, un eccellente statista nella politica italiana di metà Ottocento come Cavour.