Spumante Italiano

Il Monferrato nell’epopea dello Spumante Italiano PARTE I di IV

Parte I di IV – I primi tentativi empirici in Piemonte con il Nebbiolo

Pensando al Piemonte in ambito vinicolo, l’immaginazione non può che ricadere sui grandi vini rossi d’invecchiamento a base di Nebbiolo – Barolo e Barbaresco su tutti. La storia del vino piemontese, in questo caso con protagonisti indiscussi il Monferrato e il nobile vitigno Moscato, ha però molto altro da raccontare; a partire dalla gloriosa epopea dello Spumante Italiano iniziata a metà dell’800.

Spumante Italiano

Il celebre scienziato del vino Donato Lanati, ama ripetere come per lui, fin da studente, il primo riferimento nel mondo dell’enologia italiana fosse l’azienda Gancia di Canelli; “Per me rappresentava, e lo rappresenta tutt’oggi, il mito e sognavo ad occhi aperti che un giorno avrei avuto la fortuna e il privilegio di lavorare per loro” – nel durante, il dottore Lanati ha finalmente coronato il suo sogno e io, con l’intento d’interpretare questo suo pensiero in modo corretto, mi sono imbattuto in un racconto a dir poco affascinante, le cui pagine ripercorrono più di duecento anni di storia.

A onor del vero, i tentativi di produrre vino spumante in Piemonte precedono di molti anni le gesta legate all’azienda Gancia e vedono come protagonista quasi assoluto il vitigno Nebbiolo. Del resto, è ormai ampiamente risaputo che il presidente americano Thomas Jefferson, in visita a Torino nel 1787, quando bevette del vino rosso di Nebbiolo all’Hotel Angleterre lo giudicò “gradevole come lo Champagne”.

Imbottigliatrice Spumanti

Le testimonianze che associano i primi tentativi di spumanti piemontesi al Nebbiolo, però, non si esauriscono con questa testimonianza. Nel 1839, per esempio, il professore Euclide Milano, non solo cita gli spumanti piemontesi ma fa un riferimento preciso al “Nebiu d’Asti Spumante”. Evidenzia però le difficoltà nella lavorazione in cantina, specie nelle fasi iniziali, mancando del tutto quelle informazioni tecniche sul processo di produzione che, addirittura in Francia, andarono lentamente a razionalizzarsi solo nella seconda metà dell’800. Si ha poi riscontro che anche la Società Enologica Astigiana, forse con l’ausilio di enologi francesi, tenta di produrre lo spumante nel castello della Volta di Barolo, utilizzando vino Nebbiolo per Barolo.

Contagiato dalla continua ascesa dello Champagne francese, anche il Re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia, cerca d’incentivare la sperimentazione sui vini spumanti. Ed è proprio in tal senso che opera l’enologo generale Paolo Staglieno nella tenuta reale di Pollenzo, intorno al 1840-1845 e con l’ausilio di tecnici francesi e tedeschi al fine di “appagare il gusto di loro altezze reali con vino bianco spumeggiante come quello della sciampagna”.

Per l’utilizzo dei vitigni utilizzati per lo Champagne francese, invece, bisogna attendere ancora qualche decennio. Come testimonia Lorenzo Fantini nella sua ”Monografia agraria sul circondario d’Alba” del 1883, infatti, in alcune pagine dedicate agli spumanti colloca la prima importazione in Italia dei “Pinot” verso la metà dell’800 ad opera del  generale Emilio Balbo Bertone di Sambuy, agronomo e fondatore dell’Associazione Agraria Subalpina, che li piantò nella sua tenuta di Lesegno di Mondovì, in provincia di Cuneo. Anche lo stesso Fantini, però, parla di criticità che portarono la produzione a cessare praticamente dappertutto.

Conservazione Infernot

È comunque molto interessante osservare come in questa prima fase, decisamente pionieristica – anche se il Monferrato non è ancora protagonista – per motivi culturali, geografici e politici, quasi tutte le testimonianze storiche inerenti allo spumante italiano riconducono al Piemonte. Nella regione, la cultura del vino è ormai radicata e la corte dei Savoia, prima con il Regno di Sardegna, poi con il Regno d’Italia dal 1861, giocano sicuramente un ruolo cruciale. Troppo vicina infatti la Francia per non subire l’influenza del fenomeno “Champagne” che, non solo è protagonista indiscusso della vita di corte d’oltralpe ma è fonte di ingenti guadagni con la sua commercializzazione, specie in Inghilterra. E’ quindi plausibile immaginare che vi fosse il desiderio di imitare le gesta dei francesi. Al confronto, però, la situazione piemontese è ancora molto lontana. Oltralpe, infatti, il mito di Dom Pierre Pérignon risale alla fine del ‘600 e le principali Mason di Champagne operano già da molto tempo; ha solo 23 anni il monaco benedettino Dom Thierry Ruinart quando, nel 1680, intuisce le potenzialità di quel vino – allora chiamato “vin de bulles”, il vino con le bollicine, così in voga nei salotti aristocratici francesi, dapprima con Luigi XIV poi con Madame de Pompadour, l’influente amante di Luigi XV.

Vent’anni più tardi,  suo nipote Nicolas Ruinart, 33 anni e commerciante di tessuti a Reims, il 1° settembre del  1729 apre il suo primo registro contabile dedicato proprio al “vin de bulles” e fonda così ufficialmente la prima Maison de Champagne. A seguire, solo per rimanere nel XVIII secolo, nel 1734 Jacques Fourneaux fonda Taittinger, nel 1743 è la volta di Claude Moët, nel 1776 entra in scena la Maison Louis Roederer, nel 1761 Peter Arnold Mumm da vita alla la PA Mumm, nel 1772 segue Philippe Clicquot-Muiron, nel 1785 Florens Louis Heidsieck crea la Maison Piper-Heidsieck e Florens-Louis Heidsieck la Champagne Heidsieck

Al netto di cosa accade oltralpe, in Italia si arriva così al 1865, una data a dir poco emblematica, senza che alcuno dei numerosi tentativi di produzione degli spumanti metodo in bottiglia avesse trovato sbocco e seguito a livello di processo produttivo. Per comprendere per quale motivo il 1865 costituisce un vero e proprio spartiacque nella produzione dello spumante piemontese e italiano, però, è necessario fare qualche passo indietro per scoprire le intuizioni di un giovane piemontese; Carlo Gancia.

SEGUE PARTE II DI IV – LA VISIONE DI CARLO GANCIA

Un viaggio tutto da vivere con i consigli e le dritte dei “locals” che vivono in questo magnifico territorio.

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