Da Casale Monferrato ad Acqui Terme, evitando l’autostrada, si percorre la strada provinciale fino ad Alessandria; via che continua fino ad Acqui, attraverso l’itinerario che percorre Cassine e molti paesi dell’Alto Monferrato. Alcune soste di questo viaggio possono riservare piacevoli sorprese: il borgo di Frascaro, ad esempio. Un viaggio nel tempo, se prendiamo come punto di partenza il castello di Casale e come punto d’arrivo quello di Acqui.
I due castelli sono la testimonianza del regno dei Paleologi nel Monferrato durante alcuni secoli del medioevo, quando il Monferrato era un territorio continuamente in guerra, tra il XIII e il XIV secolo: per le mire d’espansione dei Visconti di Milano, i conflitti interminabili tra guelfi e ghibellini e le spedizioni delle milizie angioine.
Il castello di Acqui è meno imponente di quello di Casale. Sorge, tuttavia, su una collina che domina la città. È del 1056 la prima fonte scritta che ne attesta con certezza l’esistenza: lo denomina «castelletto».
Oggi si può accedere al maniero da due ingressi: dal Museo Archeologico, annesso alla parte superiore del castello, impreziosito da un romantico birdgarden, e dall’ingresso più antico, con una piazza panoramica. Da quest’ultima entrata, la principale, con una targa moderna in pietra con la scritta «Castello dei Paleologi. Museo Archeologico» si accede al castello per una piccola salita circondata da resti di vari secoli: dalle mura medievali agli edifici in mattone destinati alle carceri nell’Ottocento. Si entra nel vecchio castello dov’era un ponte levatoio. Una lapide in latino, che meriterebbe una pulitura e un totem su cui leggere la storia, è dedicata a Re Vittorio Emanuele I. Questi segni del passato sono la testimonianza che la struttura ha conosciuto, nel corso del tempo, alterne vicende.
Il «castelletto» fu, dapprima, residenza dei vescovi-conti di Acqui che vi dimorarono fino alla seconda metà del XIII secolo, quando violenti scontri interni fra le famiglie nobili della città posero fine al loro dominio. Diventò, in seguito, fortezza del borgo medievale di Acqui e sede dei Governatori della città per passare infine, dal 1260, ai marchesi Paleologi del Monferrato che, pur con alcune interruzioni, lo tennero, con il dominio sulla città, fino agli inizi del XVI secolo. Tra il 1536 e il 1706, il castello, come quello di Casale, passò ai Gonzaga di Mantova.
Del nucleo originario medievale del castello rimane poco. Le strutture più antiche sono della seconda metà del XV secolo: si tratta, principalmente, del ponte levatoio e di una parte della cinta muraria in cui si trova una torre difensiva angolare.
Il castello fu ricostruito nel 1663. Di questo periodo sono gli spazi destinati al Museo Archeologico. Tra il 1860 e il 1865 risalgono gli ultimi interventi di risistemazione che videro l’abbattimento di un tratto della cinta muraria per la realizzazione dell’attuale ingresso ai giardini alti del castello, sede del già citato birdgarden, piccola oasi di bellezza, frequentato dalla cinciallegra e da altri uccelli rari.
Il viaggio nel tempo, però, termina al castello di Acqui, in un’età più arcaica. Diversamente da Casale, il territorio dell’Alto Monferrato, prima dei Paleologi, ha conosciuto la presenza dei Goti e del regno di Teodorico. Un savant dell’Ottocento non avrebbe avuto timore di proporre delle differenze tra gli abitanti del Basso e Alto Monferrato. Gli abitanti di Casale, per nulla rassomigliano a quelli di Acqui. Si direbbe che appartengono a una specie diversa. I monferrini del nord sono una popolazione incrociata di Ebrei, di Saraceni, di Romani, mentre quelli del sud sono sangue di Goti, aspetto che si nota, in particolare, nell’osservazione delle donne: per lo più bionde, bianchissime di pelle e dai lineamenti raffinati. Acqui, che non conobbe lo splendore e l’opulenza di Ravenna, è comunque ricca di memorie che ci raccontano molto della mentalità dei Goti. Le ricerche archeologiche hanno aperto nuove possibilità di studiare quell’insediamento in Piemonte. In una posizione di controllo dei percorsi vallivi in direzione della Liguria, si trovano Acqui e il Castelvecchio (Castrum vetelum) di Peveragno, abitato d’altura che ha restituito una fibbia di cintura femminile, a conferma che «su quelle Alpi che dividono i Galli dai Liguri, dai Romani chiamate Alpi Cozie, si trovano molti castelli custoditi un tempo dai Goti che molti e valorosi vi abitavano con mogli e figli», come narra Procopio, consigliere del generale bizantino Belisario, ne La guerra gotica. Nell’ambiente agricolo, a Frascaro, trova conferma archeologica la rivitalizzazione di fabbricati rurali abbandonati dai possidenti romani, divenuti di proprietà dei nuovi arrivati, ai quali toccava un terzo delle terre coltivate o l’equivalente di esenzione fiscale in caso di acquisto. L’attuale mostra al Museo Archeologico, Goti a Frascaro, fa conoscere quel periodo storico, attraverso reperti che spaziano dalla moneta in argento con monogramma di Teodorico alla collana con vaghi in pasta vitrea, vetro, cristallo di rocca, osso lavorato e denti di lupo da una delle tombe femminili ritrovate a Frascaro.