Giosuè Carducci – nel 1906 primo premio Nobel per la letteratura italiano (seguiranno: 1926 Grazia Deledda, 1934 Luigi Pirandello, 1959 Salvatore Quasimodo, 1975 Eugenio Montale e 1997 Dario Fo) – con l’opera Gli Aleramici, portò alla conoscenza del grande pubblico, e non soltanto tra gli studiosi medievali, la Casata dei Monferrato che resse il Marchesato dal 951 al 1305.
Oggi, a differenza di Carducci, parliamo della Stirpe dei Monferrato, poiché tale è il cognome dei cosiddetti Aleramici: una semplice forma e conclusione anagrafica per indicare i discendenti del primo insignito della Marca di Liguria Occidentale poi Marchesato del Monferrato.
Inoltre, come poeta, Carducci, donò alla Dinastia dei Monferrato, con l’ode Piemonte (dai toni enfatici, messi alla gogna in modo umoristico dal geniale attore Felice Andreasi), «e l’esultante di castella e vigne suol d’Aleramo», un’aurea di leggenda. Secondo l’insegnamento di Carducci, la verità della storia è radicata nella favola.
Gli studi di Carducci sulla storia del Monferrato e della sua casata furono condotti, nel 1879, presso gli studiosi locali, come Luigi Francesco Beraudi, Giuseppe Cerrato, Filippo Salveraglio e don Fedele Savio, e nella Biblioteca del Seminario di Casale Monferrato, nell’occasione di una visita ispettiva per conto del ministro della Pubblica Istruzione al Liceo Balbo. Sempre nel 1879, quando Ferdinando Martini fondò a Roma il Fanfulla della domenica, settimanale che per due anni e mezzo offrì ai lettori il meglio del panorama letterario italiano, Il Monferrato («Foglio dell’Associazione Liberale-Progressista del Circondario di Casale Monferrato») riprese dal settimanale romano, nel numero di Venerdì 12 settembre 1879, il pezzo di Carducci Un’avventura cavalleresca in Italia nel secolo XII.
Il poeta dedicò altri studi ai marchesi, esortato addirittura, nell’agosto 1887, dalla Regina Margherita. Tale interesse colpì lo storico torinese Leopoldo Usseglio, che destinò ai Monferrato e ai trovatori da loro protetti una serie di saggi, che videro interamente la luce nel 1926, in due volumi pubblicati a Casale Monferrato.
Carducci, però, non è legato al Monferrato solo per i suoi studi dedicati alla schiatta di Aleramo e ai poeti trovatori.
Il poeta fu anche storico del Risorgimento, tra i primi a far conoscere il nome del casalese Carlo Vidua, seppure di sfuggita, a un vasto pubblico. Nelle Letture del Risorgimento, Carducci traduce uno stralcio degli Études littéraires di Victor Cousin dedicati a Santorre di Santa Rosa, dove il francese riporta le lettere a lui indirizzate di Giacinto Collegno. Cousin, infatti, era ansioso di sapere le ultime notizie sull’amico morto, il 9 maggio 1825, nella Rivoluzione greca: «Ai 2 di gennaio del 1825 il Santa Rosa se ne andò da Napoli di Romania, dopo aver avvertito il governo, che ne avrebbe aspettati gli ordini in Atene. Visitò Epidauro, l’isola d’Egina e il tempio di Giove; e sbarcato la sera del 4, giunse in Atene il 6. Spese qualche giorno a contemplare i monumenti di codesta città, e avendo su una colonna del tempio di Teseo trovato il nome del suo amico Vidua, ch’era stato in Atene alcuni anni prima, vi scrisse accanto il proprio».
Nel Novecento, il rapporto tra Carducci e il nostro Monferrato trovò compimento nel monumento funebre che Leonardo Bistolfi realizzò per il poeta a Bologna. Inaugurato con solenne cerimonia il 12 giugno 1928, alla presenza di Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena, l’opera si colloca nel clima Liberty per la completa integrazione tra natura e architettura e la preferenza per moduli curvilinei e dinamici.
Lo studio preparatorio di Bistolfi si può ammirare alla Gipsoteca del Museo Civico di Casale Monferrato. Il monumento fu eseguito nell’arco di diciotto anni (finito nel 1927), mentre il Comune di Bologna, dopo aver acquistato il terreno necessario, procedeva alla sistemazione della piazza di fronte. Accanto all’opera di Bistolfi si trova la villa, sede del Museo Carducci. Itinerario obbligatorio per chi vuole conoscere meglio il mondo della Casa di Monferrato indagato dal Vate.
Il marchese Bonifacio I fu descritto dal trovatore Rambaldo di Vaqueiras. Certo è che Rambaldo combatté al seguito di Bonifacio in più occasioni, come da lui stesso raccontato, seguendolo nelle Crociate. Dal 1207, anno della morte del marchese, si perdono le tracce del poeta provenzale, anche se la data della sua morte sembra posteriore. Alcuni, tuttavia, come Carducci, ritengono che lo stesso Rambaldo sia morto a fianco di Bonifacio durante l’attacco dei Bulgari.
Scrive il poeta in Un’avventura cavalleresca in Italia nel secolo XII: «Nel 1207, dieci anni dopo l’avventura di Montalto, il re di Tessalonica correva ben altra avventura: sorpreso e circondato da una scorreria di Bulgari, ebbe trapassata di freccia una spalla: pochi de’ suoi cavalieri gli si strinsero intorno a difenderlo o a morire con lui: i bulgari mozzarono le teste al re e a’ suoi e le portarono in trionfo. Fra questi cavalieri dové morire anche il trovatore Rambaldo: dopo il 1207 non c’è più memoria di lui».