C’è un personaggio che da anni mi appassiona. Si chiama Guglielmo VII, marchese del Monferrato. È un grande della sua epoca, tanto da essere ricordato da Dante in più di un’occasione, nella Divina Commedia e nel Convivio, dove il poeta lo indica come «il buono Marchese di Monferrato».
È uno che raccoglie allori per trent’anni. Vivono in Guglielmo VII le origini del grande prestigio degli Aleramici in Europa, territorio dell’Impero.
Di lui, però, abbiamo pochi documenti e rarissimi sono i suoi ritratti. Lo ricordiamo con un piccolo quadro su tavola di legno. Piccolo per le dimensioni: 16×14 centimetri, opera di un pittore piemontese anonimo. Ritratto ritrovato, a Londra, dalla Fondazione Zeri di Bologna.
Nato a Trino intorno al 1240, unico figlio maschio del marchese Bonifacio II degli Aleramici e di Margherita di Savoia, la figlia del conte Amedeo IV, Guglielmo VII esercitò il potere dall’età di circa quattordici anni, quando alla morte del padre, avvenuta a Moncalvo nel giugno del 1253, diventò erede del marchesato, sotto la tutela della madre Margherita.
Nel marzo 1258, fu celebrato il matrimonio tra Guglielmo e Isabella de Clare, la figlia del conte Riccardo, sesto conte di Gloucester: un atto politico in linea con le aspirazioni imperiali allora perseguite dal Re d’Inghilterra. Rimasto vedovo, il marchese sposò in seconde nozze nel 1271 Beatrice, la figlia del re Alfonso X di Castiglia. Da lei ebbe la figlia Violante (1274-1317) e l’unico figlio maschio Giovanni (1277-1305), l’ultimo marchese aleramico. Violante diventò la seconda moglie dell’Imperatore di Bisanzio Andronico II Paleologo. Ribattezzata col nome greco di Irene, la basilissa fu garante, tramite il secondogenito Teodoro, del passaggio del Monferrato nel 1306 alla dinastia paleologa.
Guglielmo VII ebbe un ruolo da protagonista nell’Italia settentrionale. Collaborò con l’arcivescovo di Milano, Ottone Visconti, che lo utilizzò per i propri fini, nominandolo Signore di Milano per dieci anni, lasciandolo poi a un tragico destino. Il marchese ghibellino fu catturato dagli alessandrini e rinchiuso in una gabbia, dove morì di stenti il 6 febbraio 1292. Il cadavere fu sepolto accanto al padre nell’abbazia cistercense di Lucedio.
Dante pone Guglielmo VII nella seconda cantica del Purgatorio, che segue il regno dell’oltretomba, come luogo di passaggio delle anime non condannate, ma non ancora pronte per la contemplazione di Dio nei cieli. Posto tra i condottieri nella «Valletta dei principi negligenti»: «Quel che più basso tra costor s’atterra, / guardando in suso, è Guiglielmo marchese, / per cui e Alessandria e la sua guerra / fa pianger Monferrato e Canavese» (Purgatorio VII, 133-136).
Ricordando Guglielmo VII, e la storia gloriosa del Monferrato, non possiamo dimenticare il frate francescano Ubertino da Casale, reso celebre nel 1980 da Umberto Eco nel romanzo Il nome della rosa, e già eternato da Dante nella cantica del Paradiso. Il poeta esprime, con le parole di S. Bonaventura da Bagnoregio, un duro giudizio per il rigore nella fedeltà alla regola francescana del frate a capo degli «Spirituali», posto sullo stesso piano di Matteo d’Acquasparta, la guida dei «Conventuali», con questi versi: «Ben dico, chi cercasse foglio a foglio / nostro volume, ancor troveria carta / u’ leggerebbe ‘I’ mi son quel ch’i’ soglio’ / ma non fia da Casal né d’Acquasparta, / là onde vegnon tali alla scrittura, / ch’uno la fugge, e l’altro la coarta» (Paradiso. XII, 121-126).
È possibile, quindi, proporre un Itinerario dantesco in Monferrato. Passando dall’abbazia di Lucedio, al “castello” paleologo di Trino, visitando le collezioni delle biblioteche di Casale, quella del Seminario e quella Civica, intitolata a Giovanni Canna, filologo classico, docente di lettere greche e latine all’Università di Pavia. Le due biblioteche sono importanti per i bibliofili. Si trovano rarità su Dante.
Il poema fu pubblicato a Venezia nel 1555, col titolo «La Divina Comedia di Dante», dallo stampatore trinese Gabriel Giolito De Ferrari, titolare con i fratelli della fiorente «Libreria della Fenice» nei pressi del ponte di Rialto, nota per l’inconfondibile etichetta tipografica con la creatura mitologica che prende il volo tra lingue di fuoco sprigionate dalla sfera alata.
Ultimissima tappa dell’Itinerario dantesco: tra Olivola e il borgo di Moleto, ovvero, il buen retiro nel Monferrato, dello storico Aldo di Ricaldone e della pittrice Matilde Izzia.
“Il Romito”, edificio eclettico, fatto costruire dalla coppia nel 1966. All’interno, accanto a un camino, c’è il grande dipinto di Matilde: lo sposalizio fra Argentina Spinola e Teodoro I Paleologo. Teodoro I nacque a Costantinopoli nel 1290. Divenne marchese di Monferrato alla morte senza eredi del marchese Giovanni, ultimo degli Aleramici, unico figlio maschio del nostro «buono Marchese di Monferrato». Privo di eredi legittimi, Giovanni I degli Aleramici, detto il Giusto, fu marchese del Monferrato dal 1292 alla morte. Designò come suo unico erede il nipote Teodoro, figlio della sorella Violante, aprendo così le porte alla nuova dinastia dei Paleologi di Monferrato.